Dal 2014 con la legge 162/2014, i coniugi possono fare la loro comparsa di fronte all’Ufficiale dello Stato Civile del Comune e manifestare la loro volontà di avviare un atto di separazione o divorzio o di modificare le condizioni inerenti al loro matrimonio.
La richiesta per dare inizio alla procedura può essere presentata presso:
- il Comune di residenza di uno dei due coniugi;
- il Comune dove è stato celebrato il matrimonio;
- il Comune dove è stato trascritto il matrimonio celebrato con rito religioso o celebrato all’estero.
Vi è da dire che il divorzio in comune però non è sempre possibile.
Il divorzio in comune è possibile a condizione che non sussista una delle seguenti condizioni:
- presenza di figli minorenni
- presenza di figli maggiorenni non autosufficienti economicamente;
- presenza di figli maggiorenni con disabilità;
- presenza di trasferimenti patrimoniali.
In caso vogliano seguire questo iter, i coniugi si rivolgono direttamente al sindaco del Comune presso il quale è stato celebrato il matrimonio o del Comune di residenza di uno dei due coniugi.
Quali documenti sono necessari per il divorzio in comune?
I documenti necessari per dare inizio al procedimento di divorzio in comune sono:
- atto integrale di matrimonio
- certificato attestante lo stato di famiglia di entrambi i coniugi
- certificato di residenza di entrambi i coniugi
- copia decreto di omologa o sentenza di separazione del tribunale
Quanto costa divorziare in comune?
Il costo del divorzio in comune non è oneroso.
Nel caso in cui i coniugi decidano di divorziare in Comune, rinunciando alla presenza di un legale la spesa si riduce a circa sedici euro.
Per quel che riguarda gli effetti, va precisato che le conseguenze di questa decisone sono molteplici e possono generare reazioni anche a livello emotivo e psicologico.
Ma non solo; infatti gli effetti del divorzio in comune sono molteplici:
- Nel caso si parli di matrimonio civile, il vincolo viene immediatamente sciolto.
Cessano, dunque, i vincoli ai reciproci obblighi coniugali ed entrambi recuperano lo stato civile di liberi; - Nel caso di matrimonio concordatario, cessano immediatamente gli effetti civili dell’unione ed è dunque valido ciò che si è detto nel primo punto, fermo restando che il matrimonio continua ad essere valido per l’Autorità Ecclesiastica.
- La moglie perde il diritto di usare il cognome del marito. Solo qualora l’uso del nome del marito comporti un interesse degno di tutela, allora il Tribunale può non autorizzare la perdita di questo diritto;
- L’ex coniuge economicamente più debole può richiedere all’altro un assegno divorzile il cui importo è determinato in base a delle regole ben precise;
- sebbene i coniugi abbiano divorziato, in caso di pensionamento di uno dei due, all’altro spetta comunque una quota del TFR, ovvero del trattamento di fine rapporto.
Questo punto è valido solo nel caso si verifichino due condizioni:
- il coniuge titolare del TFR versa già un assegno divorzile all’ex coniuge
- il coniuge che beneficia del TFR non abbia contratto seconde nozze
Inoltre, viene decisa l’assegnazione della casa coniugale e degli altri beni di proprietà e i figli minorenni possono essere affidati ad entrambi i genitori oppure ad uno solo di essi. In questo ultimo caso, il coniuge non affidatario deve versare un assegno di mantenimento.
Altre situazioni possono prevedere che:
- Entrambi i coniugi perdono i diritti successori;
- Nel caso di morte di uno degli ex coniugi, il coniuge superstite ha diritto alla pensione di reversibilità del defunto o anche solo ad una quota di questa.
Quanto detto è valido solo nel caso si verifichino due condizioni:
- il coniuge superstite non ha contratto seconde nozze;
- il coniuge superstite percepiva già un assegno di mantenimento da parte del coniuge defunto.
Ogni parte descritta nell’articolo rappresenta solo alcune delle situazioni che possono emergere da un procedimento di divorzio.
Per i dettagli è importante valutare ogni caso nello specifico.